Il dato

E se il prosecco battesse lo champagne?

Il re delle bollicine, costretto a fare i conti con l'inflazione e per certi versi prigioniero della qualità, è stato protagonista di un calo delle vendite nei supermercati francesi – Il tutto a vantaggio di «rivali» molto più terre-à-terre
Il 2023 dello champagne è stato meno brillante del previsto. © CdT/Chiara Zocchetti
Red. Online
23.12.2023 23:15

Lo champagne è in difficoltà? Verrebbe da dire di sì, visto l’aumento medio dei prezzi in Europa per accaparrarsi il re delle bollicine (12,4%). Un aumento accompagnato da un calo a livello di volumi, come ha spiegato il quotidiano economico La Tribune. Alla fine di quest’anno le bottiglie spedite nei vari mercati saranno «solo» 300 milioni, il 9% in meno rispetto al 2022. Il calo, dicono gli esperti, è giustificato dalle scorte in eccesso accumulate in alcuni mercati ma anche dalla forte concorrenza di altri tipi di bollicine, prosecco in testa. 

«L’inflazione si è fatta sentire» ha spiegato Christine Scher-Sévillano, presidente della Federazione dei viticoltori indipendenti della Champagne. Lungo la catena, dalle bottiglie ai tappi di sughero, gli aumenti sono stati sistematicamente fra il 20 e il 30%. 

Ma a preoccupare i viticoltori e i produttori è anche il cambiamento climatico. E l’impatto sulle vendemmie. Anche la Francia, infatti, negli ultimi anni è stata colpita da fenomeni distruttivi (in maniera sempre più frequente) come piogge torrenziali e grandine, per tacere della siccità e delle temperature estreme. 

Una risposta non troppo incoraggiante, fronte mercato, l’ha data Nielsen questo mese. Rilevando un calo dell’11,4% nelle vendite di champagne nei supermercati, a fronte di aumenti di spumanti e prosecco nell’ordine del 9,6%. Come tradurre un dato simile nella realtà quotidiana? 

Di sicuro, in questi ultimi anni per raggiungere un miglior equilibrio fra costi e ricavi molti produttori di champagne hanno alzato l’asticella verso l’alto. Puntando ad esempio su etichette e prodotti altisonanti, con tanto di «Grande Réserve». Il colosso LVMH, che possiede i marchi Dom Pérignon, Moët & Chandon, Krug e Veuve Clicquot fra gli altri, è stato il primo a spostarsi verso l’alto. Anzi, sempre più in alto. Con il tempo, anche molti altri attori hanno intrapreso una strada simile. Della serie: la risposta all’aumento dei costi e alle problematiche legate al clima è aumentare la qualità. Ricercarla, quantomeno. 

Una tendenza, questa, che si osserva pure tra gli indipendenti: «La premiumizzazione non è solo fare una bella etichetta» ha spiegato Christine Scher-Sévillano. «Lavoriamo in modo diverso, cercando le nostre migliori uve nei nostri migliori vitigni. Stiamo creando sempre più cuvée di vigneti singoli». Con evidenti storture, tuttavia, in termini di prezzo finale per il consumatore, al netto del discorso inflazione. «La continua ricerca della qualità e dello sviluppo sostenibile sta generando costi che si riflettono sul prezzo di vendita delle bottiglie» ha avvertito non a caso Maxime Toubart, presidente dell'Unione generale dei viticoltori della Champagne.

L'industria, decisa a conquistare la neutralità carbonica entro il 2050, sta sperimentando e innovando i propri metodi di produzione. Ancora Toubart: «Stiamo ricercando nuove varietà e utilizzando robot per lavorare le viti». Allo stesso tempo, a frenare il progresso è la speculazione sui prezzi dei vitigni, aumentati del 300% nel giro di vent'anni a detta di Scher-Sévillano. Un problema, questo, che si riflette quando i terreni passano di generazione in generazione: le tasse di successione, in Francia, possono anche stritolare.