La Lisson Gallery cacnella Ai Weiwei per un post su Israele

Una importante galleria di Londra ha messo in pausa una mostra di Ai Weiwei dopo un post, successivamente cancellato dall'artista, sulla guerra tra Israele e Hamas. «Sono stato cancellato», ha protestato il dissidente cinese dopo che il giornale The Art Newspaper aveva dato la notizia che la Lisson Gallery aveva deciso di rinviare a tempo indeterminato la rassegna che avrebbe dovuto aprire oggi.
Il messaggio su Twitter di Ai era in risposta a una domanda di un seguace: «Il senso di colpa legato alla persecuzione del popolo ebraico è stato, a volte, trasferito per compensare il mondo arabo. Dal punto di vista finanziario, culturale e dell'influenza mediatica, la comunità ebraica ha avuto una presenza significativa negli Stati Uniti. Il pacchetto annuale di aiuti di 3 miliardi di dollari a Israele è stato, per decenni, presentato come uno degli investimenti più preziosi mai fatti dagli Stati Uniti. Questa partnership è spesso descritta come un destino condiviso».
La galleria ha dichiarato che la decisione di non aprire la mostra è stata presa d'accordo con Ai: «Non è il caso di scatenare un dibattito che può essere caratterizzato come antisemita o islamofobo in un momento in cui tutti gli sforzi dovrebbero essere diretti a por fine alle tragiche sofferenze in Israele e nei territori Palestinesi».
Di ben altro parere l'artista che, in una dichiarazione a parte, ha affermato di esser stato «effettivamente cancellato» e ha invocato il diritto alla libertà di espressione: «A mio parere tutte le opinioni possono essere espresse, anche quando non sono corrette. Opinioni scorrette dovrebbero essere specialmente incoraggiate. Se la libertà di espressione dovesse esser limitata a un solo tipo di opinione diventerebbe un imprigionamento dell'espressione».
Nato a Pechino nel 1957, Ai ha sostenuto in passato la causa palestinese e nel 2016 si è recato a Gaza per girare il documentario Human Flows sulla crisi globale dei profughi presentato alla 74° Mostra Cinematografica di Venezia. Lo scultore e attivista è cresciuto nei campi di lavoro del nord-ovest della Cina dove il padre, il poeta Ai Qing, era stato mandato in esilio.
Per tutta la sua carriera, Ai ha criticato le autorità cinesi e difeso i diritti umani e nel 2011 ha passato 81 giorni agli arresti domiciliari in Cina, paese abbandonato per sempre quattro anni dopo, quando gli è stato restituito il passaporto.