L'analisi

«La Russia ha rotto l'ordine mondiale, ma nessuno vuole una guerra globale»

Incontro con Federico Fubini, giornalista, vicedirettore del «Corriere della Sera» e autore di saggi su temi economici
© CdT/ Chiara Zocchetti
Generoso Chiaradonna
24.01.2024 06:00

Stiamo vivendo un’epoca storica contraddistinta da conflitti armati che stanno ridisegnando un nuovo ordine mondiale. L’invasione russa dell’Ucraina, per incominciare, ha rotto un equilibrio post crollo dell’Unione Sovietica riportando indietro le lancette dell’orologio della storia di decenni. «Più che un ritorno ai tempi della Guerra fredda tra blocco occidentale e orientale, stiamo vivendo una riedizione dei primi anni del 1900 quando le potenze europee, per ragioni egemoniche, con la deflagrazione della Prima guerra mondiale ruppero un ordine che risaliva al Congresso di Vienna». È quanto afferma Federico Fubini, giornalista, vicedirettore del Corriere della Sera e autore di saggi su temi economici. Fubini era ospite ieri sera della sezione ticinese dell’Associazione svizzera dei gestori di patrimoni. L’evento è stato l’occasione per chiedergli un suo punto di vista sul mondo che sta cambiando e che influenzerà anche l’economia globale.

Potenze emergenti

Stiamo andando incontro a un scontro armato tra Occidente e Oriente? «Se uno proprio vuole fare un'analogia, senza con questo voler dire che finirà allo stesso modo, probabilmente siamo più in un'epoca che può ricordare gli ultimi anni dell'Ottocento e i primi anni del Novecento. Gli anni della Germania dopo Bismarck, perché anche all'epoca c'era una potenza nuova, emergente, una potenza industriale demograficamente prevalente nel suo spazio e che aveva una forte tendenza a militarizzarsi, così come oggi è la Cina», risponde Fubibi. «In quel caso la Germania aspirava a diventare una potenza navale e dunque una potenza coloniale che sfidasse la Gran Bretagna nei mari, all’epoca percepita come la prima potenza internazionale. Oggi la sfida non è tanto sul controllo dei mari ma è sulle tecnologie. Dunque da questo punto di vista ci possono essere delle similitudini tra la distruzione dell’ordine nato dal Congresso di Vienna e quello messo in atto da Putin nel febbraio del 2022 che ha rotto ciò che in qualche modo durava - a seconda dei punti di vista - dalla fine della Seconda guerra mondiale o dal 1989».

La storia, lo sappiamo, tende a non ripetersi allo stesso modo. «Tra oggi e quello che accadde più di secolo fa ci sono anche delle profonde differenze tra cui una determinante: gli schieramenti internazionali a quell'epoca erano molto più rigidi e con dei meccanismi di innesco bellico molto più automatici. Tanto è vero che, per esempio, la guerra scoppiò per una crisi nei Balcani tra Austria e Serbia. Ma i primi scontri armati avvengono sul fronte occidentale tra la Germania e la Francia per l’invasione del Belgio. Oggi questo automatismo non c’è, come non ci sono due blocchi espressamente contrapposti. C’è sicuramente la NATO, però poi ci sono una serie di Paesi che ciascuno per ragioni proprie ha interesse a sfidare l’ordine internazionale emerso dal 1989».

«Ma c’è di più», continua Fubini, «le principali potenze, con la parziale eccezione della Russia, hanno paura della guerra. Nessuno vuole veramente entrare in una guerra aperta con le altre grandi potenze. Ci possono essere delle guerre regionali come quella attuale tra Israele e Hamas, ma se si guarda alla reazione dell’Iran, per quanto sia finanziatore di organizzazioni che destabilizzano il Medio Oriente - da Hamas agli Houthi a Hezbollah, eccetera - è stata in una certa misura contenuta perché teme chiaramente un’escalation che non desidera».

Ci sono però delle azioni di pirateria deliberate degli Houthi sul Mar Rosso, importante via di accesso delle merci dall’Asia all’Europa . «Sono casi isolati anche se c’è stato un singolo episodio di un attacco a una petroliera da parte probabilmente dell’Iran nel Golfo nel stretto di Hormuz. Anche la reazione dell’Iran contro il Pakistan come risposta all’attacco alla tomba di Soleimani potrebbe contenere un rischio di escalation, ma non c’è la volontà di deflagrazione». «Per quanto riguarda gli Houthi è abbastanza chiaro che hanno un'agenda politica che è quella di conquistare una rilevanza internazionale che sicuramente il fatto di essere bombardati dagli americani gli conferisce».

Il fattore scatenante di questa situazione è stata la guerra in Ucraina. «Sì, perché ha messo a dura prova le risorse della NATO e dimostrato che i Paesi occidentali non sono in grado di riportare l’ordine ma solo di contenere un'invasione». Sullo sfondo c’è lo scontro con Cina e il nodo di Taiwan protetto dagli Stati Uniti. «Xi Jinping ha una chiara agenda nazionalista. Gli americani dicono che avrebbe dato indicazioni all'esercito di essere pronto a un'invasione per il 2027, se l’occasione si presenta. Io credo che non ci sia una decisione della Cina di aggredire Taiwan entro una certa data. I cinesi stanno aspettando di vedere se a Taiwan si formerà una maggioranza disponibile a un’integrazione con la Cina senza sparare un colpo. E dunque non è detto che vedremo presto una guerra che sarebbe devastante se dovesse coinvolgere anche gli Stati Uniti. Almeno, io francamente lo spero». 

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