Ventisei cantoni

Una cara provincia

La chiusura annunciata dello storico negozio di moda Jelmoli sulla carissima Bahnofstrasse di Zurigo pone la questione della sopravvivenza di negozi storici e di centri commerciali in Svizzera dove la domanda risulta d'altronde molto inferiore al numero delle superfici commerciali presenti sul territorio
© KEYSTONE / MICHAEL BUHOLZER
Moreno Bernasconi
14.02.2023 06:00

Londra ha lo sfavillante Luxury store Harrods; Parigi le prestigiose Galeries Lafayette. Zurigo aveva Jelmoli. Aveva, visto che il mitico negozio di moda sulla Bahnofstrasse spegnerà definitivamente le proprie insegne luminose nel 2024. Il «Glaspalast» (palazzo di vetro dalle fantasmagoriche vetrine colorate) che aprì i battenti 125 anni fa a Zurigo ha fatto tutt’uno per più di un secolo con la via simbolo del lusso sfacciato della capitale economica e finanziaria della Svizzera. Ad aprirlo fu un commerciante di tessuti figlio di un italiano della Val Vigezzo emigrato a Zurigo: Giovanni Pietro Guglielmoli che aveva tedeschizzato il proprio nome in Johannes Peter Jelmoli dopo aver fatto fortuna con la vendita su consegna di stoffe alla borghesia zurighese. Un pioniere ottocentesco della «delivery», insomma. Emblema svizzero dei cosiddetti Departement stores, Jelmoli ha ospitato per decenni un migliaio di marchi di moda e dato lavoro a 1000 impiegati.

Il proprietario attuale di Jelmoli - il Gruppo immobiliare Swiss Prime Site (promotori della Prime Tower a Zurigo e la Messeturm a Basilea) - puntando su una nuova CEO dalle idee estremamente innovative, Nina Müller, aveva dato l’impressione lo scorso anno di poter rilanciare il negozio dopo le difficoltà dovute alla pandemia. Invece ne ha deciso bruscamente la chiusura. Per cercare di far uscire Jelmoli dalle cifre rosse, la nuova CEO aveva proposto - col motto «Consumare in modo consapevole, sostenibile e con amore» - di «trasformare il negozio di moda in un laboratorio, in un punto di incontro con offerte sempre diverse, così da spingere i clienti a tornare e attirare una nuova clientela. Anche clienti che non necessariamente comprano ma che affittano un capo di abbigliamento - affermava la dirigente durante la conferenza stampa di un anno fa -. Soprattutto i clienti giovani si chiedono se hanno davvero bisogno di acquistare un nuovo vestito: un approccio sempre più attuale». Il progetto non si è rivelato vincente. Purtroppo, lo spegnimento della storica insegna Jelmoli fa seguito alla chiusura, nel 2020, anche del grande negozio di Manor sulla Bahnofstrasse. Manor si è battuto fino all’ultimo per riuscire a rimanere nel cuore pulsante della città sulla Limmat. I proprietari del palazzo (Swiss Life) non hanno voluto sentire ragioni. Come d’altronde non avevano voluto sentire ragioni quelli del magico palazzo della Bahnofstrasse 62, davanti alle cui vetrine colorate, fino al 2016, si erano fermate sognando ad occhi aperti generazioni di bambini: quelle di un altro marchio-simbolo della Svizzera, Franz Karl Weber. Al di là della questione della posizione dei negozi (gli affitti della Bahnhofstrasse sono assolutamente proibitivi), la chiusura di Jelmoli solleva però un altro problema che tocca l’insieme dei centri commerciali svizzeri: troppa offerta di superfici di vendita al dettaglio rispetto alla domanda e insufficiente massa critica in settori commerciali alle prese con la concorrenza degli acquisti online. Se da un lato può apparire un’ironia della storia che scompaiano aziende come Jelmoli, pioniere nelle spedizioni per posta (che inondavano di cataloghi illustrati le case di tutti gli svizzeri), quanto sta accadendo sembra dimostrare che la sopravvivenza in Svizzera di aziende storiche del settore è sì possibile, ma a patto di appartenere a grandi gruppi internazionali del commercio, segnatamente di prodotti di moda. Il caso dei Grandi magazzini Globus insegna. Migros li aveva acquistati quando il colosso elvetico del commercio al dettaglio aveva ancora velleitari sogni di gloria: ma viste le endemiche cifre rosse di Globus (e un saggio ripiegamento strategico sul proprio «core business») ha venduto i 48 negozi di Globus al magnate immobiliare austriaco René Benko, che insieme ai thailandesi di Central Group sta rilanciando in modo vincente una catena di centri commerciali della moda in Europa e che, nella sua nativa Innsbruck, ha fatto costruire all’archistar David Chipperfield un vero e proprio tempio del lusso: il nuovo, fantasmagorico Kaufhaus Tyrol. La Svizzera (e Zurigo) sono diventati una carissima provincia?