Il vertice di pace, tentar non nuoce

La decisione di organizzare in Svizzera un vertice di pace internazionale sul conflitto russo-ucraino, riservato ai capi di Stato e di Governo, ha sollevato reazioni di segno opposto. C’è chi la ritiene affrettata, ingenua e velleitaria e chi, al contrario, pur consapevole che a questo stadio non si potranno ottenere risultati significativi, la considera in ogni caso giusta e opportuna. Sembra che l’offensiva diplomatica annunciata dalla presidente della Confederazione Viola Amherd e dal «ministro» degli Esteri Ignazio Cassis dopo l’incontro a Berna con Volodymyr Zelensky abbia anche spiazzato alcuni loro colleghi. La macchina organizzativa, comunque, si è messa in moto e il navigatore è stato impostato. In attesa che l’iniziativa prenda forma, nel Paese sono riemersi gli stessi interrogativi e le critiche sollevati dopo l’adozione delle sanzioni contro la Russia e nel dibattito sulla riesportazione di armi. Raccogliendo l’idea di un vertice chiesto dall’Ucraina e senza la Russia, la Svizzera può ancora dirsi un Paese neutrale? L’ambasciata russa a Berna ha detto che la Confederazione vive in una bolla e che un vertice ritagliato sulle esigenze di Zelensky sarebbe inutile e dannoso. Anche alcuni politici locali sono fortemente scettici, ritenendo che la vicinanza della Svizzera al presidente ucraino (accolto con gli onori militari) comprometta la neutralità e impedisca a Berna di offrire i tradizionali buoni uffici. L’obiezione è politicamente legittima, ma anche strumentale nel dibattito interno sulla neutralità. Certi atteggiamenti di vicinanza personale possono non piacere, ma se la Svizzera non avesse condannato l’aggressione russa e adottato le sanzioni, avrebbe il problema opposto: non verrebbe nemmeno lontanamente considerata come mediatrice dall’Ucraina e dal resto della comunità occidentale che sostiene Kiev. Quella che per gli uni è neutralità integrale, per gli altri, invece, significa schierarsi di fatto dalla parte dell’aggressore. Morale: in Occidente nessuno saprebbe cosa farsene dei buoni uffici, specie se la Svizzera finisse per essere considerata, dietro il paravento della neutralità, una piattaforma per l’aggiramento delle sanzioni.
Pur con tutti i limiti e gli ostacoli del caso - che non invitano a farsi particolari aspettative - con l’ONU bloccata dai veti, l’iniziativa di Berna è da considerare positivamente. A condizione, ben inteso, che ci sia un disegno plausibile, che non può prescindere da un coinvolgimento prima indiretto e poi auspicabilmente diretto della Russia. Lo stesso Cassis, a Davos, aveva detto che sarebbe un’illusione pensare di procedere senza Mosca. Si può immaginare che il tema della pace sia già stato toccato martedì a New York nel faccia a faccia fra il capo del DFAE e Serghei Lavrov. La Russia può essere contrariata per la posizione di Berna, ma i canali sono sempre rimasti aperti. La Confederazione continua a rappresentare gli interessi russi in Georgia, come potenza protettrice (lo fa dal 2008). La propaganda non va confusa con gli interessi reali.
Si tratta di avviare un processo i cui sviluppi dipenderanno da fattori che la Svizzera non può controllare. Berna può fare la sua parte per mettere in moto la macchina, ma una vera soluzione richiede la partecipazione delle potenze, che contano più dei Paesi neutrali. In effetti, un vertice unilaterale non servirebbe a nulla. L’idea di fondo tiene: agganciare i Paesi che hanno un rapporto con la Russia, in primis Cina, India, Turchia per dare credibilità al vertice e da lì partire per i passi successivi. È un’operazione ad altissimo coefficiente di difficoltà, anche perché la Svizzera deve barcamenarsi fra esigenze contraddittorie: aiutare diplomaticamente l’Ucraina e gettare le basi per coinvolgere in una fase ulteriore la Russia (che Kiev non vuole al tavolo, e viceversa); tenere conto dei dieci punti per la pace di Zelensky e considerare al tempo stesso le eventuali proposte di chi è vicino a Mosca (in proposito, l’ex consigliera federale Micheline Calmy-Rey ha detto al «Tages-Anzeiger» che un accordo sulla maggior parte del piano di pace di Zelensky non è realistico); e, soprattutto, fare i conti con un conflitto in cui nessuno è realmente intenzionato a negoziare seriamente finché spera di poter risolvere sul campo la situazione a suo favore.
Ci sono molte cose ancora da chiarire, in particolare sul ruolo che la Svizzera si vuole dare: apparecchiare il tavolo o sedervi e avere voce in capitolo. Per quanto ostica e carica d’incognite, l’iniziativa rientra nella tradizione elvetica di promuovere la pace. Dal Mozambico a Suez, quella sul fronte diplomatico è stata una storia costellata di successi e insuccessi. Un seppur minimo risultato sarebbe apprezzabile. Un fallimento non sarebbe una tragedia per la Svizzera. Tentar non nuoce.