Come si vive in undici sotto un tetto

Isabella Bettega è un po’ stanca. Si è svegliata alle sei per preparare il pranzo a tre figlie. Poi la colazione. Poi le lavatrici - due-tre al giorno sono la norma - e il pranzo per altre tre-quattro figlie che tornano a mezzogiorno. Intervistarla è come inseguire un super-manager.
L’agenda è strapiena, ci vogliono settimane per programmare un incontro - «un’ora al massimo» - e guai a sgarrare con gli orari.
«Non è così impossibile come si potrebbe pensare ma chiaramente è una vita faticosa» spiega la 50.enne davanti a un caffè in quello che, normalmente, sarebbe il momento del «riposino» post pranzo. «Prima di ricominciare le faccende ho bisogno di ricaricarmi un po’». La casa è su tre piani, un intrico di camerette che portano ad altre camerette e, al centro, la grande stanza-guardaroba, con gli armadi di tutta la famiglia. «Così è più pratico - spiega Bettega - ma tenere in ordine è comunque un gran lavoro».
«Questione d’impegno»
Otto ragazze dai 7 ai 22 anni, un figlio di 21. Nelle statistiche le famiglie «numerose» sono quelle con quattro o più figli: 1.555 nel 2022, erano 1.530 nel 2011, sostanzialmente stabili. Per i nuclei da nove, dieci, undici componenti - le cosiddette famiglie «extra large» - non esistono nemmeno dei dati ufficiali. I Bettega sanno di essere una «rarità» in un contesto di calo demografico apparentemente inarrestabile. Il loro segreto, come spesso si trovano a spiegare a vicini o conoscenti incuriositi, è «semplicemente essere aperti alla vita e avere fiducia nella Provvidenza» sintetizza Isabella. «Ci sono delle rinunce da fare, certo. E bisogna imparare ad organizzarsi».
In effetti non è una cosa semplicissima. Dalla ricerca di una casa adeguata - minimo dieci stanze, «non potevamo permetterci di prenderla in un centro urbano» - alla gestione degli spostamenti quotidiani, tra scuola lavoro e tempo libero, lo sforzo è decuplicato. «Ognuno fa sport, ha hobby e amici da frequentare giustamente - spiega la 50.enne - cerchiamo di organizzarci con i mezzi pubblici ma non sempre è possibile». La partenza per le vacanze, ogni anno, è un impresa che richiede un giorno di preparazione e almeno due auto (di cui una da nove posti).
Scuola di parsimonia
Anche far quadrare i conti non è scontato. Alle spese di trasporto si sommano quelle per l’istruzione - una figlia all’università, altre sette in età scolastica - per gli sport e per la mensa scolastica - «non possiamo pagarla a tutti, ci affidiamo a turno alle schiscette» - senza contare il maxi-frigorifero da riempire. Papà Bettega, Marco, utilizza in genere due carrelli al supermercato, nella spesa «grossa» del sabato mattina. Ogni volta si sfiorano i 300 franchi.
Anche senza tirare in ballo l’inflazione e il caro-bollette - «si fanno sentire» - la parsimonia s’impone. A maggior ragione conun unico stipendio: una scelta obbligata. «Per me avere un impiego anche solo part-time sarebbe impossibile» conferma Isabella. Suo marito Marco, 59 anni, di professione contabile, in passato ha valutato l’ipotesi di ridurre la percentuale di lavoro «per dare una mano maggiore a casa», ma ha dovuto rinunciare. «Non saremmo arrivati a fine mese».
La coperta insomma è corta e deve coprire dieci persone, calcolando un figlio già indipendente e i lavoretti occasionali e gli apprendistati, con cui le «piccole donne» Bettega cercano di alleggerire il bilancio familiare. «Capita che le nostre figlie ci aiutino» Isabella non lo nasconde. «Grazie a Dio sono molto responsabili».
Camilla, 19 anni, è contenta dei sacrifici e non ritiene di essersi persa qualcosa rispetto ai coetanei figli unici. Anzi. «Non capisco come si possa vivere senza fratelli e sorelle» dice. Certo non ha mai comprato l’ultimo modello di iPhone, spesso ha «passato» i suoi vestiti alle sorelle più piccole. «Ma l’ho fatto con piacere. Una grande famiglia è una scuola di collaborazione e solidarietà». Le piace così tanto che ha deciso di studiare pediatria o ginecologia, «per lavorare nell’ambito della maternità». Visti i tempi, c’è da farle i complimenti.