Medio Oriente

Dall'India al Mar Rosso: tutti i fronti aperti

La mappa dei conflitti pronti ad esplodere si è già allargata ben al di là della guerra a Gaza
©YAHYA ARHAB
Guido Olimpio
Guido Olimpio
21.01.2024 06:00

La crisi in Mar Rosso ha già impartito la sua prima lezione. Se mai ci fosse stato bisogno di ribadirlo: gli stretti marittimi, a qualsiasi latitudine, sono estremamente fragili, esposti alle tempeste politiche, alle mosse di grandi e di «piccoli».

Partiamo da quanto sta avvenendo al largo delle Yemen, una minaccia cresciuta in modo evidente negli anni ed esplosa adesso perché innescata dal conflitto Israele-Hamas a Gaza. L’origine, però, è più lontana. Gli Houti, movimento sciita filoiraniano, si sono trasformati in pochi anni in una componente determinata, passando dall’uso di armi semplici a quelle più sofisticate, compresi missili e droni a lungo raggio. Con questo arsenale hanno preso di mira il naviglio civile diretto in Israele o comunque collegato allo Stato ebraico, operazione che ha inciso in modo devastante su una via d’acqua importante per tutti. Missione condotta per aumentare il proprio peso nel teatro, mostrare solidarietà ai palestinesi, fare il gioco di Teheran in uno scontro per procura con Gerusalemme e gli Stati Uniti.

Il vantaggio geografico

Alla sfida i militanti ci sono arrivati per tappe addestrandosi e dotandosi di molte «frecce». La posizione geografica, con una fascia costiera sotto il loro controllo, ha dato loro un vantaggio. Cruise, barchini esplosivi, abbordaggi, velivoli senza pilota e persino «corsari» sono diventati strumento per dettare condizioni. La vastità del loro territorio ha offerto un buon nascondiglio per mettere al riparo gli armamenti in vista di iniziative future. E tutto questo nonostante gli USA, insieme ad alcuni alleati, abbiano schierato una task force nel tentativo di proteggere la navigazione commerciale.

Rispondere in «modo globale»

Eppure, nonostante i danni alle economie, Washington ha incontrato difficoltà nel mettere insieme la coalizione. Molti Paesi, ad esempio Italia e Francia, si sono rifiutati di partecipare agli strike e hanno inviato unità che agiscono in modo autonomo. Persino governi della regione - Arabia Saudita, Egitto - si sono tenuti alla larga. Potremmo andare avanti con la lista per sottolineare due punti evidenti: è relativamente agevole per una fazione locale - se attrezzata - creare problemi enormi ad una rotta strategica; è molto complicato rispondere in modo globale, specie se non si sa bene quello che potrebbe accadere dopo. L’opzione militare è solo un prima passo e non la soluzione che deve essere politica. Alla base restano le incognite, le tante debolezze, le paure di infilarsi nell’ennesima guerra.

La «porta delle lacrime»

I lampi nello Stretto di Bab el Mandeb, in arabo la porta delle lacrime, sono osservati con attenzione da numerosi attori. Teheran, che ha permesso agli Houti di crescere militarmente ed ha garantito una copertura ampia, in momenti di tensione ha minacciato un blocco all’altro grande passaggio, quello di Hormuz. Di nuovo la geografia è complice: i pasdaran hanno installazioni dalle quali entrare in azione, sono presenti in isolotti contesi, hanno sviluppato «ordigni» capaci di fare danni, hanno testato tattiche con una flottiglia ma anche «sciami» di battelli veloci. Non è certo nell’interesse dei mullah chiudere la «pipeline», però gli eventi in Mar Rosso, gravi e ripetuti, assumono anche il carattere di prova generale. La deduzione per gli strateghi è che «si può fare».

I contrasti su come rispondere

Ora spostiamoci ad Oriente. Lo Stretto di Malacca, dopo i vecchi casi di pirateria, è sicuro, però potrebbe essere esposto a sorprese nel caso qualcuno voglia causare un effetto domino sul trasporto mondiale. Una volta abbiamo partecipato ad un test internazionale dove era simulato il dirottamento di un paio di petroliere da parte di «terroristi» proprio in questa zona. Già nelle prime ore erano emersi contrasti su come rispondere perché il ricatto riguardava Stati diversi, con opinioni contrastanti sull’opportunità di un blitz.

Non sono meno intricati i nodi che riguardano Cina, Taiwan, Vietnam, Filippine, Coree e Giappone. Contrasti sui confini uniti ad ostilità politiche - pensiamo alle mire di Pechino sull’isola taiwanese - rappresentano delle micce accese, spesso le tensioni trovano sfogo in provocazioni dove la libertà di navigazione è messa costantemente in discussione. E sono dispiegate navi per ribadire che non è accettabile. Un’altra conferma di come i mari siano sempre più angusti.

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