La Domenica

L'uomo del decreto: «Mi sento orgogliosamente responsabile»

Intervista a Sergio Morisoli, capogruppo UDC, tra la «comprensione» per i manifestanti e la necessità di riequilibrare i conti
©Gabriele Putzu
Andrea Stern
Andrea Stern
21.01.2024 06:00

No, Sergio Morisoli non ha pensato di partecipare alla manifestazione di ieri, sabato, contro le misure di risparmio proposte dal governo in ossequio al decreto che porta il suo nome. Sebbene anche lui sia tutt’altro che soddisfatto del preventivo 2024, «ma per altre ragioni» precisa il capogruppo UDC.

Signor Morisoli, non si sente un po’ responsabile di questa impasse?
«Mi sento orgogliosamente responsabile, nel senso che se non avessimo fatto il decreto oggi viaggeremmo su 234 milioni di deficit a preventivo e un’esplosione del debito, che non rimangono lettera morta, perché quando si fanno i buchi poi bisogna riempirli, in questo caso chiamando alla cassa la prossima generazione. Il decreto non ha fatto nient’altro che obbligare la politica a rispettare la disciplina finanziaria e la Costituzione. Il decreto ha messo un termine e tre condizioni molto chiare, quella di non aumentare le imposte, di non tagliare le prestazioni ai più bisognosi e di non riversare i costi sui Comuni».

Capisce chi è sceso in piazza a Bellinzona?
«Certo, posso capire le motivazioni che muovono queste persone. Sono determinate categorie che manifestano legittimamente per mantenere dei diritti ma anche dei privilegi. Non facciano però l’errore di assumersi il ruolo di difensori del popolo, perché il popolo stesso ha parlato chiaro due anni fa, quando ha chiesto a Governo, Parlamento e Amministrazione di mettere in ordine i conti».

Pensa che oggi il decreto Morisoli verrebbe ancora accettato?
«Bisogna capire, come abbiamo già detto in campagna, che l’alternativa al decreto non è il «non-decreto», bensì l’aumento di imposte per coprire i buchi. Perché non si può continuare a fare deficit di 250 milioni e pensare che non succeda nulla. I cittadini hanno chiesto alla politica di fare i compiti e risparmiare dove possibile, hanno scelto di smetterla con lo spendi e tassa, che è ancora peggio del tassa e spendi».

Ora che la politica fa i compiti, nessuno è contento.
«La politica non ha fatto i compiti. Il decreto risale al 2021 ma per oltre tre anni il Consiglio di Stato non ha prodotto nulla. Ha speculato comodamente che le entrate sistemassero la situazione. Infine si è palesato il 18 ottobre - in ritardo rispetto ai termini di legge che prevedono quale termine il 30 settembre - con una lista di tagli che verosimilmente era consapevole di non poter portare a casa. Poi i partiti ci stanno mettendo del loro, ma questo non dipende dal decreto».

Le sembra giusto chiedere sacrifici ai dipendenti dello Stato?
«I dipendenti pubblici, come tutti i lavoratori, hanno delle aspettative, hanno un bisogno di riconoscimento. Il discorso deve andare oltre i tagli sul salario. È la considerazione della funzione pubblica che deve cambiare, anche dal punto di vista della remunerazione, colpa di un sistema salariale egualitarista che crea palesi ingiustize tra chi merita e chi no.I lsistema va cambiato, non per forza in peggio, ma lo Stato non può andare avanti aumentando i dipendentie con un management inefficiente che nel mondo non esiste più da almeno trent’anni ormai».

Voi dell’UDC siete usciti con l’idea di congelare il progetto di Città della giustizia. Vi sembra sensato fermare un dossier che risale al 2019?
«È solo una contingenza. Noi siamo usciti dicendo che nel rispetto della legge non si possano fare nuove spese, fintanto che non c’è il preventivo. Ci sembra strano che da una parte non si riesca a far quadrare i conti e dall’altra si voglia far votare crediti da 100 o 200 milioni come se nulla fosse. Noi chiediamo che prima si facciano i passi imposti dalla legge, poi si potrà dibattere sui singoli crediti come si è sempre fatto».

Qualcuno potrebbe leggerla come una mossa contro Gobbi. State andando verso la rottura con la Lega?
«La faccenda degli investimenti, non solo quelli di Norman Gobbi ma di tutti i consiglieri di Stato, è una questione di ritardi. Sono tutti messaggi che erano pronti da tempo, non si capisce perché arrivano in Parlamento tutti adesso. Avremmo fatto le pulci a questi messaggi anche sei mesi fa, non è una questione di essere pro-Lega o contro-Lega, è il nostro ruolo di opposizione che portiamo avanti da anni».

Prima Marchesi voleva fare fuori Zali, ora Chiesa crea scompiglio a Lugano. L’impressione è che vogliate mangiarvi la Lega.
«Se è per questo il nuovo coordinatore della Lega è mezzo UDC quindi li abbiamo già conquistati… Battute a parte, Marco Chiesa ha detto che il suo obiettivo non è fare il sindaco di Lugano, anche perché deve portare a termine il mandato a Berna in una commissione importantissima per il Ticino. L’obiettivo è allestire una lista forte, perché come abbiamo già visto in passato è con le liste forti che si vincono le elezioni».

In questo articolo: