Gian Marco Tognazzi: «Fra la fiction e il Carnevale di Bellinzona si è creata una simbiosi»

Gian Marco Tognazzi è il protagonista di Alter Ego, la prima serie poliziesca interamente girata in Ticino, prodotta da Amka Films in collaborazione con la RSI e diretta da Erik Bernasconi e Robert Ralston. Da questa sera, ore 21.10, sarà possibile vederla su LA1 e in contemporanea sulla piattaforma PlaySuisse. Lo abbiamo intervistato.
Cominciamo da una sua prima impressione sulla serie...
«Positiva: durante le riprese di Alter Ego ho infatti ritrovato l’entusiasmo e il senso di lavoro con il quale vedevo lavorare mio padre quando ero piccolo, come la collaborazione continua tra sceneggiatori, registi e attori, in cui si forma una squadra che sa di avere un compito oneroso: realizzare sei episodi in undici settimane con un budget buono ma in cui il tempo è poco. Questa serie poliziesca è ambientata a Bellinzona, durante il Carnevale, e in qualche modo è legata a un evento avvenuto dodici anni prima. Il personaggio che interpreto, il commissario Leonardo Blum, si trova a rivivere il trauma della sua vita che l’ha segnato a tal punto da allontanarlo anche dalla sua famiglia e l’ha portato ad avere un rapporto difficoltoso con la figlia. È un uomo che fa fatica a mostrare i suoi sentimenti, pieno di sensi di colpa per non aver intuito, non essere arrivato in tempo a risolvere quello che avrebbe potuto evitare. Ambientare la serie durante il Carnevale di Bellinzona è stato inoltre sorprendente, le riprese sono talmente ben amalgamate che sembra che gli attori facciano realmente parte della manifestazione. Normalmente in occasioni come queste si scorge sempre la differenza tra le scene rubate dal vivo e la fiction. Qui tutto è omogeneo, dalla fotografia, al clima, al ritmo. Sembra che sia il Carnevale al servizio della fiction e non che quest’ultima abbia attinto dal Carnevale».
Nelle ultime serie a cui ha partecipato lei ha avuto spesso il ruolo del ladro. Il protagonista di Alter Ego, Leonardo Blum, è invece un commissario. Che rapporto ha con i suoi personaggi?
«L’attore è a disposizione, ho sempre pensato e cercato il cinema e il teatro in base alle opportunità che mi vengono fornite dagli altri, perché l’attore non prende una chitarra e si mette a suonare. È un mestiere in cui intervengono molti fattori e in cui ci vuole molta volontà perché si è al servizio di una storia. Un personaggio deve presentarmi delle difficoltà per permettermi di non portare me stesso in scena, per costruirlo ho bisogno di trovarne le caratteristiche, le debolezze. Questa serie si è inserita tra questi diversi ruoli portandomi in un clima completamente diverso, noir, drammatico, dove non c’è spazio per la commedia».
Nella sua carriera oltre al cinema e al teatro c’è molta tv. Nel libro che avete scritto su vostro padre, Ugo. La vita, gli amori e gli scherzi di un papà di salvataggio (Rai Libri, 2020), si sente molto la nostalgia di un’Italia in cui invece il cinema sembrava al centro di tutto. Come vive questi cambiamenti?
«Avendo trovato un’altra passione nella vita che è il vino. Da dieci anni mi occupo di quel luogo che mio padre Ugo ha fondato a Velletri e che chiamava ironicamente La Tognazza, perché tenuta, campagna e azienda agricola sono femminili, quindi ne aveva femminilizzato il cognome. Il cinema è un’altra mia grande passione ma che oggi ha delle caratteristiche sempre più diverse, io ho bisogno di trovare degli stimoli, soprattutto nei rapporti umani, come nel caso di Alter Ego, con delle persone che vogliono condividere qualcosa e in cui ci sia entusiasmo, stima e fiducia. Il rapporto umano, l’amicizia fuori dal set, mi ricordano la costruzione di personaggi, di storie e di battute che avveniva intorno alla tavola di Ugo, in cui la tavola era il convivio che alimentava invenzioni, idee, ipotesi, soggetti, rapporti interpersonali, confronti e scontri. Purtroppo oggi nel mondo del cinema è sempre più difficile trovare questo tipo di interazione. A decidere di fare un film sono spesso le grandi produzioni o distribuzioni, non c’è più il produttore che cura il rapporto con il regista e gli attori, che a loro volta interagiscono con gli sceneggiatori, e ci si incontra e si è amici nella vita. Una volta nei teatri di posa era così. Ormai è diventato un altro mestiere, per questo attraverso il vino cerco di recuperare quel clima. Sono tutti cerchi che alla fine si chiudono, anche in maniera estemporanea. Ugo ha creato una filosofia di vita che fa parte di me, di Ricky e di Maria Sole (i suoi fratelli – ndr) in modi diversi ed ha avuto intuizioni su moltissime altre cose, dai personaggi che interpretava, all’idea di famiglia allargata, alla cucina di cui all’epoca non parlava nessuno, alla prima “fakenews” che dava l’annuncio del suo arresto in quanto presunto capo delle Brigate Rosse. Oggi riscontro un’incapacità nel tramandare questa memoria e ho sempre pensato fosse un mio dovere farlo, anche attraverso quello che facevo individualmente. Ugo era fuori dalle convenzioni, ma non per dimostrare qualcosa, ma perché sentiva il bisogno di vivere la sua vita così».